CYRANO *****

Una signora ci osserva, seduta al tavolino del Bar Starlight, nel quartiere Calvairate di Milano. Ha sentito parlare di noi, siamo gli attori, quelli che da qualche giorno girano per il quartiere a fare domande. Ha visto i volantini e ha letto che sabato, nel cortile del suo condominio, ci sarà uno spettacolo, ma soprattutto ha letto sul retro che “Ognuno di noi ha una storia da raccontare, ed è sempre una storia d’amore. Raccontaci la tua!”

La signora sa che gli attori stanno cercando storie da mettere nel loro “teatro”, ha compreso bene la scritta “spettacolo partecipato”. Per questo ci tiene d’occhio, mentre beviamo il caffè chiacchierando con altri clienti abituali. Si parla del quartiere: di com’è cambiato negli anni o di come sono stati accolti quando sono arrivati; ci raccontano del rapporto tra vicini, dell’aiuto reciproco o dei conflitti; e poi si parla d’amore, perché Cyrano è innanzitutto una storia d’amore. Una storia che comincia nel 2020, quando insieme alla Compagnia Oyes abbiamo creato uno spettacolo da portare nei cortili. Cyrano (gli asterischi vengono sostituiti con il CAP del luogo in cui viene rappresentato lo spettacolo) è una performance partecipata che dura una settimana. Prima di ogni replica, attraverso il lavoro di mediazione delle cooperative sociali che lavorano nel quartiere, incontriamo e intervistiamo gli abitanti. Da questi incontri cerchiamo di cogliere lo spirito del luogo, ciò che lo rende unico; e così, le parole, i modi di dire, i racconti che raccogliamo cambiano le parole e l’atmosfera dello spettacolo.

La storia, il canovaccio che seguiamo – liberamente ispirato a Cyrano de Bergerac – è sempre lo stesso: quattro personaggi, tutti innamorati di qualcuno, tutti che non trovano le parole o il coraggio di svelare i propri sentimenti. Come si fa una dichiarazione d’amore? Quali sono gli ingredienti necessari? Le parole giuste, dove si trovano? E poi, c’è davvero spazio per l’amore in case troppo piccole, in cortili vuoti, senza spazio sufficiente anche solo per qualche fiore?
Quando ripenso a questo spettacolo, è come se avessi in testa tanti spettacoli. Ogni luogo ci lascia addosso qualcosa di diverso, le parole raccolte si posano sul copione, e alla replica successiva lasciano spazio ad altre parole oppure, talvolta, rimangono. Ciascuna performance diventa, così, unica nel suo genere, un momento condiviso in cui il pubblico riconosce sé stesso, nel bene e nel male, e si concede, magari, la possibilità di sognare, di desiderare di raggiungere la luna con un balzo.
Alla fine di ogni intervista facciamo sempre la stessa domanda, quella famosa, della scena del balcone.

“Che cos’è un bacio?” Quando facciamo la domanda, normalmente le persone si imbarazzano, ridono, cercano di andarsene… li capisco, anch’io ci ho messo un bel po’ a rispondere la prima volta. Alla fine, però, l’immaginazione si prende il suo spazio e le risposte arrivano. È qualcosa che illumina tutto – è come stare sotto la pioggia – è un segreto – è un leone – è come quando arrivano le nuvole – è un’arma a doppio taglio – è un’illusione alla quale dobbiamo credere.
E anche la signora, al bar Starlight, che non mi aveva perso di vista perché sapeva dove volevo arrivare, mentre la intervisto al volo in cassa, mi lascia la sua risposta.
“Non lo so cos’è un bacio, così a parole! Forse un bacio è proprio la parola che non trovo”

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