TREMPLAN

Racconto partecipato online

Di Chiara Boscaro

COME FUNZIONA?

Tremplan è un racconto che si costruisce insieme ai lettori. Ogni due settimane verrà pubblicato un capitolo, il cui finale sarà aperto: toccherà a voi completarlo!
Ecco come fare:
1. Leggi il nuovo capitolo su questa pagina (esce ogni due martedì)
2. Vai sulla pagina BACHECA
3. Scrivi il tuo finale nel form che trovi in fondo alla bacheca (ATTENZIONE: MAX 500 CARATTERI SPAZI INCLUSI)
4. Selezione la categoria “TREMPLAN – racconto partecipato”

Hai tempo fino al martedì successivo alla pubblicazione per inviarci il tuo finale. Sette giorni in cui spremere le meningi e costruire un finale coi controfiocchi!

Tra le proposte, selezioneremo il finale più creativo, che diventerà ufficialmente parte della storia. Al creatore del finale più bello faremo una piccola intervista, e potrà sentire le sue parole nel PODCAST del racconto.

LA TRAMA

Due sorelle si ritrovano dopo molti anni, in occasione della morte del nonno. Elisa è sempre rimasta nella sua Varese, e ha accompagnato il lento declino del nonno causato dall’Alzheimer. Gaia invece rientra dalla Gran Bretagna, dove vive stabilmente. Terminati i funerali e salutati i parenti, devono occuparsi di svuotare la casa del nonno per poterla mettere in vendita. Gaia vuole fare in fretta, per tornare il prima possibile in Gran Bretagna, mentre Elisa fatica a staccarsi dalle cose della famiglia.
Arrivate in soffitta, le due sorelle scoprono una valigia piena di carte, fotografie, oggetti, progetti: sono i ricordi di una vita, che piano piano fanno loro scoprire eventi dimenticati di una vita eccezionale.

CAPITOLO 1 – BUONI PROPOSITI
CAPITOLO 2 – ARGO
CAPITOLO 3 – PAILLETTES E PIUME DI STRUZZO
CAPITOLO 4 – UN POSACENERE PIENO
CAPITOLO 5 – I RUSSI?!
CAPITOLO 6 – STRADA, LAMPIONE, FARMACIA
EPILOGO

CAPITOLO 1
BUONI PROPOSITI

“Perché non me ne sono tornata subito a Londra, perché?!” questo si chiede Gaia.
Gaia ed Elisa sono sorelle, anche se la prima adesso vive in Gran Bretagna e parlarsi su Skype non è come condivedere la stanza azzurra al terzo piano di Viale dei Tigli. Il nonno è mancato da pochi giorni, Gaia è saltata sul primo aereo per l’Italia e, adesso che la piccola cerimonia è finita e hanno salutato da sotto la mascherina gli sparuti conoscenti, quello che resta loro è una grande casa da svuotare e vendere.
Il prima possibile.
Ottantatre anni di vita, di oggetti, di ricordi…
“Lisa, guarda qui!”
Gaia emerge dall’armadio con una scatola colma di mattoncini colorati.
“… I nostri giochi! E ci sono le figurine, i pupazzi, pure i libri di scuola del papà!”
Lisa la implora di procedere con ordine. Lei è sempre stata quella disciplinata, quella pratica.
Gaia, invece, è quella delle liste impossibili.
“Giusto, lo metto nella lista dei propositi per l’anno nuovo. Andare con ordine. Ma quale
ordine?”
Lisa le mostra le scale per la soffitta.
Gaia fa spallucce, a lei basta tornare presto dal suo gattone a strisce, lasciato in balia della coinquilina coreana. Da qualche parte ha letto che in Corea i gatti li mangiano, ma Ji-eun è vegana. È vegana, vero…?!
Una nuvola di polvere la riporta alla realtà. La soffitta è buia e scricchiolante.
“Chissà da quanti anni il nonno non andava su.”
Lisa le racconta della badante Olga, delle nottate trascorse sulla poltrona accanto al letto dell’anziano, delle litigate ogni volta che cercavano di spostare o pulire qualcosa.
“Mi dispiace non esserci stata. Perché non me lo hai mai detto?”
La sorella cambia argomento. E quando Lisa cambia argomento, non si può tornare indietro.
Tira fuori ancora quella strana parola sospirata dal nonno appena prima di….
“Me l’hai detto. Me l’hai detto. Tremplan”.
Che ci si immagina sempre una parola importante, come ultima parola di uno che se ne va, ma questa? Cosa vuol dire Tremplan? Forse uno scherzo? Forse un delirio?

Gaia inciampa, impreca e si ritrova con il naso a pochi centimetri da un grosso baule, ringraziando il sistema sanitario nazionale per il richiamo dell’antitetanica appena fatto.
Il baule sembra pieno e pesantissimo. Ci si devono mettere in due per riuscire a sollevare il coperchio. Dentro ci sono foto, quaderni scarabocchiati, lettere, medagliette… Gaia aggiunge alla lista mentale dei buoni propositi quello di liberarsi di tutti gli averi, poi si ricorda che i suoi averi ammontano a un gatto e due paia di scarpe, e cancella il proposito dalla lista.
“Io dico che buttiamo tutto, Lisa. Così com’è. Va bene che aveva l’Alzheimer, ma il nonno non
si sarebbe dimenticato dei soldi qui dentro.”
La sorella le lancia un’occhiataccia, si siede e le passa un mucchietto di carte. Gaia sospira, preparandosi a una lunga giornata.
“Scontrino illeggibile. Scontrino illeggibile. Lista della spesa. Cartolina da Rimini di… Ignazio.
Conosciamo Ignazio? No. Passami il sacco.”
Gaia strappa le carte e le getta nel sacco.
“Multa. Bollette della luce anno… 1981. Sacco.”
Le bollette seguono la sorte delle altre carte.
“Propositi per l’anno nuovo…”
Le sorelle si scambiano un sorriso d’intesa.
“Ecco da chi ho preso. Vediamo l’anno… 1974. Allora. Numero 1. Svegliarsi prima. Concordo. Il mattino ha l’oro in bocca. Numero 2. Aggiustare il mobiletto del bagno. Questo non l’ha mai fatto… ti ricordi quando è crollato addosso a papà? Numero 3. Avviare costruzione Tremplan. Vedi progetto 16bis.”
“Progetto 16bis? E che sarà mai?”
“Non ne ho idea. Numero 4 Lasciare a Gaia e Lisa le istruzioni per Tremplan in un luogo sicuro, per quando io non ci sarò più.”
“Ma sei sicura che ci sia scritto proprio così?”
“Certo. Leggi tu stessa.”
Gaia passa il foglio a Lisa, che rimane impietrita: son proprio i loro due nomi, scritti in stampatello maiuscolo e sottolineati.
“Numero 5 Adottare un cane dal canile municipale. Meglio se malconcio.”

CAPITOLO 2
ARGO

“Così pensavi già a noi due, eh?! Ti diverti? Se ci sei, ti diverti di sicuro…”
Gaia parla da sola con la casa vuota, a voce un po’ alta per godersi meglio l’eco. Lei non ci crede tanto ai fantasmi, ma in Gran Bretagna, dove è finita a vivere quasi per caso, ogni casa ha il suo.
“Così l’ultimo punto della lista era Argo, eh?”
Quando erano piccolissime, il nonno le faceva addormentare sempre con l’enorme cane grigio, lui diceva che era la balia perfetta. Argo era un incrocio incomprensibile, cinquanta per cento alano, quaranta per cento pastore e dieci per cento mitologia. Argo pesava come un’utilitaria e aveva la delicatezza di una ballerina classica: era convinto di essere ancora un cucciolo, e la realtà – miracolosamente – gli dava ragione. Con il nonno condivideva tutto. I pasti, la poltrona, d’estate persino la doccia. Insieme avevano girato il mondo. Il nonno aveva litigato con ogni tipo di linea di trasporti per portarselo dietro. Argo aveva preso l’aereo, la nave, il treno, il risciò… nel deserto avevano dovuto caricarlo sul dorso di un cammello!
Quando se ne era andato (perché Argo se ne era andato a coda alta, da creatura mitologica qual era) il nonno aveva incorniciato la sua foto e aveva costruito un altarino accanto alla poltrona.
Gaia lo sta guardando proprio in questo momento. Ormai è buio, Lisa è tornata dai bambini, ma lei ha preferito fermarsi lì, aveva bisogno di stare un po’ da sola. Si stringe nella vecchia coperta a quadri impregnata di colonia. Si abbandona all’abbraccio della poltrona sfondata. Sulla sinistra, l’altarino è esattamente come lo ricordava. La foto di Argo con la lingua di fuori, i croccantini nella ciotola di latta, il collare di cuoio e la scatolina africana. Gaia la prende, la scuote un po’. Tintinna, c’è dentro qualcosa? Effettivamente non le è mai venuto in mente di aprirla: faceva parte dei memorabilia intoccabili del nonno, come l’automa in studio e le maschere rituali protagoniste di tanti incubi infantili…
“Beh, tecnicamente la scatolina ora è mia, no?”
Sì, ma come si apre? Non si svita, non fa clic da nessuna parte, tira il coperchio con forza, ma niente, forse serve una parola magica? Ah no, l’apertura è sotto. E qualcosa le cade in grembo. Un qualcosa freddo, metallico, pesante.
…ma è un proiettile?
Gaia quasi caccia un urlo e salta in piedi, il proiettile rotola a terra. Si guarda intorno cautamente, come se dovessero saltar fuori improvvisamente le squadre speciali e la CIA e il KGB, ma nessuno salta fuori. Si china a prendere l’oggetto, e sì, è ancora un proiettile.
“Che ci facevi, nonno, con un proiettile? Perché l’hai messo sull’altarino di Argo?”
Gaia si lancia sulla scatolina e la rovescia. Dentro, accuratamente piegato, c’è un foglio ingiallito. Lo prende e lo apre, con il terrore di vederselo sbriciolare tra le mani.
Sembra un disegno, forse una mappa.
“Sì, ma di cosa?”
Al centro c’è una forma geometrica… sembrerebbe la pianta della casa. E poi un intrico di linee e riquadri… il quartiere? E poi uno spazio vuoto, e una croce. Gaia corre alla libreria, da qualche parte dovrebbe esserci una cartina di Varese, un Tuttocittà… ecco, anche il volantino della pizzeria andrà bene. Sovrappone il foglietto al volantino: quello non è uno spazio vuoto, è un parco: sono i Giardini di Palazzo Estense.
Gaia alza la cornetta del telefono di casa del nonno per chiamare la sorella.
Tut. Tut. Tut. Tut. Tut. Tut. Tut. Tut.
È staccato.
“Anche se è tardi devo andare da Lisa, ma prima ancora ai Giardini!”
E tra i vialetti ricorda che lì, da piccole, hanno accompagnato il nonno a un incontro importante. Con un domatore del circo! Un domatore?! Altro che giocare a nascondino, come si era raccomandato il nonno! Si sono avvicinate eccitate e lo hanno visto nascondere qualcosa in una tasca.
“Ma certo! Il proiettile che ho trovato è enorme, serve per uccidere animali grandi. Leoni, tigri, o…”, inorridisce Gaia, “magari un elefante!”

CAPITOLO 3
PAILLETTES E PIUME DI STRUZZO

“…e poi ti ricordi il domatore, quando eravamo piccole, quella volta che il nonno ci aveva detto di giocare a nascondino e invece ci siamo messe a origliare da dietro la siepe come le spie, ma non si sentiva niente, e il guardiano del parco ci ha fatto la ramanzina perché non si poteva calpestare le aiuole…”
Gaia è eccitatissima. Lisa le fa cenno di abbassare la voce, disperata: era appena riuscita a fare addormentare i bambini…
“Ma il proiettile te lo ricordi o no?!”
Lisa apre la portafinestra e la spinge sul balcone.
Fa freddo, fuori. È scesa una nebbia fitta che si colora di arancio vicino ai lampioni e di nero verso il parco, quel parco testimone di una scena bizzarra di tanti anni fa.
Lisa le strappa il proiettile dalle mani e cerca di osservarlo strizzando gli occhi.
“Non so se te ne sei accorta, ma è buio”.
La sorella non dice niente. Tira fuori dalla tasca un quadernino scritto fitto fitto. Lo sfoglia furiosamente. Verso metà si blocca. C’è un disegno, uno schizzo del proiettile.
“Ma come… ma tu lo sapevi?”
No. Il quaderno era in una busta che le hanno recapitato la mattina stessa. L’ha leggiucchiato ai bambini per farli addormentare, e lo schizzo l’aveva colpita, tra una disavventura di Argo e un viaggio in India.
“Era il suo diario? Il diario del nonno?”
La sorella annuisce e le dice di far piano, poi, finalmente, la lascia rientrare in cucina.
Lisa si soffia sulle dita intirizzite, sperando di riattivare la circolazione il più velocemente possibile. La sorella appoggia il proiettile sul tavolo, le strappa di mano il quaderno e scorre le pagine all’indietro. C’è una vecchia fotografia di una giovane donna appesa a un trapezio.
“La nonna!?”
La sorella le indica un punto della grafia fitta fitta.
“16 luglio. Rosina è una bestia in gabbia, non potrò trattenerla ancora a lungo. Il piccolo Giulio – papà?! – ha compiuto un anno, è svezzato, e lei vorrebbe riprendere la via della tournée. Lo sapevo fin dall’inizio, nonostante il folle amore che ci legherà per sempre.
La sua vita è il trapezio, la mia missione è Tremplan. Non esiste compromesso. Mi ha sfidato al tiro a segno con il fucile da caccia. Domani, al tramonto, mireremo allo stesso bersaglio, a farci da testimone il domatore di elefanti. Se vinco io, lei si ferma. Se vince lei, la perderò. Ma io ho deciso, non premerò il grilletto. La amo troppo per vederla sfiorire al mio fianco giorno dopo giorno.”

Lisa alza lo sguardo sulla sorella. Non si parlava mai della nonna Rosina, era una delle regole non scritte della famiglia. Per anni avevano provato a fare domande trabocchetto al padre – quel Giulio – ma senza alcun risultato.
“21 aprile. È il secondo compleanno del piccolo, e il circo è di nuovo in città. La mia Rosina non poteva farci dono più bello. Il bambino ha dato il mangime ai lama, ha spalancato gli occhi di meraviglia davanti alle tigri e ha voluto per forza scoprire il segreto della donna segata in due. Temevo non avrebbe riconosciuto la madre, era così piccolo quando se ne è partita… e invece è bastato un momento: il faro è volato in alto, verso la sommità del tendone, lei è scivolata sinuosa lungo il trapezio con il suo costume di paillettes e piume di struzzo e il piccolo Giulio si è messo a gridare “Mamma, mamma!”. Non l’avevo mai sentito pronunciare quella parola.”
Lisa scorre le pagine avidamente, si ferma davanti allo schizzo del proiettile. Dopo, le pagine sono tutte bianche. Torna indietro di qualche riga.
“5 settembre. Il circo è di nuovo in città, ma questa volta la mia Rosina non scivolerà sinuosamente lungo il trapezio. La mia Rosina non c’è più. Il domatore voleva ridarmi le sue cose, ma non ce l’ho fatta a incontrarlo al tendone. Gli ho dato appuntamento ai Giardini Estensi, così ho mandato le bambine a giocare a nascondino. Ignazio mi ha dato il pacchettino in silenzio, dentro un proiettile, quello che non ho mai sparato. La mia Rosina sapeva.”
Una lacrima cade sull’ultima parola e ne sfuoca un po’ i contorni. Gaia cerca di asciugarla con il dito, ma il danno è fatto. Lisa, invece, sta osservando minuziosamente la foto della nonna.
“Che c’è?”
“Guarda quanto pubblico! Mi sarebbe proprio piaciuto assistere a una sua esibizione!”
DRIIIIIN DRIIIIIN DRIIIN DRIIIIN
“Ma chi può essere a chiamare a quest’ora?”
“Corro a rispondere” sussulta Lisa, preoccupata che i bimbi si possano svegliare.
Gaia continua a sfogliare il diario.
Lisa rientra nella stanza, bianca in volto.
“Era il rigattiere amico del nonno. Ci ha viste al funerale l’altro ieri. Ha detto che ci deve parlare. Con urgenza. Domani mattina. Ai Giardini.”

CAPITOLO 4
UN POSACENERE PIENO

Che freddo. Gaia e Lisa stanno facendo avanti e indietro per i giardini da almeno un’ora ma, del rigattiere, nemmeno l’ombra.
“Potevi farti dire l’ora, almeno”.
Lisa non risponde.
“Potevi farti dire il punto preciso, almeno”.
Lisa sbuffa.
“Potevi farti dire il…”
Lisa si lancia verso Palazzo Estense. Gaia la segue, sollevando una nuvola di brina e ghiaietto. Nello spiazzo è appena comparso quel signore che dice di averle viste al funerale del nonno, il rigattiere. Loro se ne erano già dimenticate, ma sì, è lui: l’uomo ha un lungo cappotto, un cappello di feltro e, sotto la mascherina, una gran barba.
Non saluta. Chiede solo se hanno portato il diario.
Lisa annuisce.
L’uomo si mette in marcia a passo svelto, in silenzio. Le sorelle gli trotterellano dietro. Le cornacchie gracchiano lugubri sullo sfondo. L’uomo, all’apparenza così fragile, ha un buon passo. Lo seguono attraverso il centro della città, verso Piazza Monte Grappa, in Via Aldo Moro, poi lungo Vittorio Veneto e tra le viuzze vicino alla stazione.
Si fermano davanti a vecchia bottega di rigattiere, ma non entrano. L’uomo scivola dietro l’angolo, verso il retro dell’edificio: c’è una scala che sparisce nel sottosuolo, umida di muffa.
Gaia strizza la mano alla sorella. Forse hanno fatto male a seguire quello sconosciuto?
Cosa ci fanno, da sole, in quel mattino livido, nel vicolo più fetido della città?
L’uomo si volta verso di loro e chiede di nuovo se hanno portato il diario.
Lisa annuisce ed estrae il quadernetto dalla borsa.
Lui si tocca la tesa del cappello in un gesto quasi impercettibile, e sparisce dietro l’angolo.

“Strani amici, si sceglieva il nonno.”
Lisa agguanta la ringhiera e si avventura giù per la scala. Gaia ringrazia mentalmente il sistema sanitario per il richiamo dell’antitetanica e la segue. La sorella è ferma davanti a una pesante porta arrugginita.
“Dallo strato di spazzatura che c’è qui davanti, direi che nessuno viene qui da un po’. Quel brand di birra lo bevevamo al liceo, ti ricordi? Quando stavi con quel… oddio, non mi ricordo neanche come si chiamava… dai, quello che giocava a basket… e io mettevo quelle scarpe orrende che andavano così di moda…”
Lisa prova a girare la maniglia, ma niente da fare: la porta è chiusa con un grosso lucchetto a combinazione.
“Grazie, mister Chiacchierone. E adesso come entriamo?”
Lisa le passa il diario. Ha ancora in mano la fotografia della nonna, quella del trapezio. La rigira da tutti i lati, come cercando qualcosa. Sul margine, scritta in piccolissimo, c’è una serie di numeri.
“Brava! Come hai fatto a vederla?”
Lisa le passa anche la foto e inizia a trafficare con il lucchetto.
“3. 7. No, non 7, 1. 2. 9.”
Il lucchetto scatta, Lisa spinge la porta con forza e riescono a entrare.

Dentro è buio pesto. A tentoni cercano un interruttore, tra ragnatele e cose anche peggiori. La luce scatta. È tremolante, ma basta a intuire uno spazio.
“È un laboratorio!”
Gaia fa un rapido giro della stanza. C’è un tavolo da lavoro impolverato, un posacenere colmo di mozziconi di MS, una scatola piena di dischi di musica classica. Ogni sporgenza orizzontale è ricoperta di viti, bulloni, cavetteria, ferraglia. Dalla parete pende sbilenco un calendario con le donnine nude, anno 1999.
Lisa, intanto, fruga in un bidone pieno di tubi da disegno.
“Il nonno quando ha smesso di fumare?”
Lisa apre un tubo, “La scrittura del nonno, formule matematiche, alchemiche… Energia alternativa… se così fosse sarebbe rivoluzionario”. Rovistando, trova una tazza con dei residui collosi. “La tazza da the del nonno”.
“Non toccarla… allontanati!” urla Gaia “Ho trovato questo“, indica un foglio, bruciacchiato, caratteri cirillici, la prova che i Russi volevano impossessarsi della sua scoperta. “Hanno cercato di convincerlo, sappiamo come i Russi persuadano…”
Lisa sussura: “Polonio? No, il nonno no…”

CAPITOLO 5
I RUSSI?!

“No, dai. Questo è troppo.”
Gaia afferra il foglio.
“È cirillico, va bene, è strano, ma…”
Lisa la fissa, in speranzosa attesa.
“…tu conosci qualcuno che può tradurlo?”
Le sorelle scoppiano in una risata isterica. Da quando hanno trovato quella lista di buoni propositi per il 1974, la loro vita è diventata un vortice di misteri, emozioni, paure, incontri con strani personaggi… e tante tante domande.
Il nonno, che la malattia ha lentamente privato della memoria, deve aver organizzato per tempo una specie di caccia al tesoro per permettere loro di ricostruire la sua storia, i suoi progetti, QUEL progetto, il Tremplan. Ha pensato proprio a loro, Lisa e Gaia, per un’eredità cui deve aver dedicato la vita, seppur in gran segreto. Ma perché? E perché non ne ha mai fatto cenno prima?
“Allora”, prova a ricapitolare Gaia, “che elementi abbiamo? Il nonno voleva costruire questa cosa che non sappiamo, il Tremplan, secondo un progetto 16bis che non abbiamo. Non ce lo abbiamo, giusto?”.
Lisa fa cenno di no con la testa.
“Giusto. Deve aver chiesto al suo amico rigattiere di portarci qui, in un laboratorio di cui ignoravamo l’esistenza, ma il rigattiere non vuole – o non può – dirci altro, se no lo avrebbe fatto. Lo avrebbe fatto, giusto?”
Lisa fa cenno di sì con la testa.
“Giusto. E così ci troviamo in uno scantinato… e chiaramente siamo le prime dalla fine del secolo scorso… ma certo, Ivan!”
Gaia tira fuori il telefono e cerca un numero in rubrica. Ivan è un vecchio amico d’infanzia che fa l’avvocato in certi giri di import-export. Non lo sente da un po’, ma prega che il numero sia ancora quello.
“Ciao, biondina. Chi è il tuo peggiore incubo?”
Il numero è ancora quello.
“Dovrei perdere del tempo in convenevoli, ma la verità è che devo chiederti un favore. Ti mando la foto di una cosa, me la traduci al volo?”
Gaia scatta la foto, la invia e appoggia il telefono in un angolo un po’ meno polveroso del tavolo da lavoro.
Passa un minuto.
Passano due minuti.
Passano tre minuti.
Gaia sbircia tra i 45 giri nella scatola. Tra varie incisioni di musica classica, scova una insospettabile raccolta del primissimo Gianni Morandi.
Quattro minuti.
Cinque minuti.
C’è pure un disco dei Sex Pistols. E Amanda Lear.
Sei minuti.

Il telefono cinguetta. È un vocale.
“Biondina, è una poesia di quelle che si imparano a scuola, credo di Aleksandr Blok. Dice così:
Notte, strada, lampione, farmacia,
luce torbida e insensata.
Vivi pure ancora un quarto di secolo —
sarà sempre così. Non c’è via di scampo.
Morirai — daccapo ricomincerai
e tutto si ripeterà come prima:
notte, il gelido incresparsi del canale,
strada, lampione, farmacia.”
Gaia riascolta il vocale più e più volte, e sente una certa rabbia… o forse èscoramento… un qualcosa che le si fa strada nello stomaco.
“E adesso?”
Il telefono cinguetta di nuovo. È un vocale.
“Biondina. Mi stavo dimenticando. Sotto ci sono scritti due nomi, IRINA+GIOVANNI”.
…i bisnonni.
“Ma certo! La bisnonna Irina era russa, si sono conosciuti durante la Seconda Guerra Mondiale, in un campo di prigionia. Ti ricordi?”
Gaia si volta verso Lisa, ma la sorella si è alzata ed è tornata a scavare tra i tubi e i progetti. Ripete delle parole tra sé, come per non dimenticarle. Strada. Lampione.
Farmacia. Strada. Lampione. Farmacia. Strada. Lampione. Farmacia.
Lisa riemerge dal mucchio di carte con una cartellina. Sull’etichetta sono riportate solo tre lettere.
S. L. F.
Una cartelletta sottile, verde, priva di elastico, pronta a svelare i segreti che contiene.
Lisa la apre, ci entra dentro con gli occhi prima che con le mani, sbirciando legge:
“S: via Fusinato,
L: secondo lato est Piazza De Salvo,
F: Viale Borri”.
Basta uno sguardo, Gaia prende chiavi e cappotto: “Dai chiudiamo tutto, andiamo a perlustrare le Bustecche”
Il quartiere che non c’era, nato proprio negli stessi anni in cui loro due venivano al mondo e in cui il nonno stilava liste di buoni propositi.

CAPITOLO 6
STRADA. LAMPIONE. FARMACIA

“Lisa, aspetta! Non c’è altro?”
Gaia ormai l’ha capito, con il nonno non bisogna dar nulla per scontato. La sorella spalanca la cartelletta sul tavolo da lavoro, e in effetti ne scivola fuori un altro foglio. È un disegno, o un progetto, pieno di linee incomprensibili. In alto a destra, un cartiglio incornicia alcuni caratteri che attirano la loro attenzione.
“16bis. È il progetto! L’abbiamo trovato, Lisa! Abbiamo trovato Tremplan!”
Sì, l’hanno trovato. Dopo tanto cercare e tanto penare, eccole davanti al progetto di quel nonno che aveva trascorso gli ultimi anni nell’oblio, ma aveva strappato gli ultimi momenti di lucidità per far arrivare loro quel lascito.
Sì, finalmente l’hanno trovato…
Ma cosa diavolo è?
Gaia si guarda intorno. Non è più nella grande casa vuota, immersa nella semioscurità di una notte di lutto, ma i fantasmi qualche potere ce l’avranno pure fuori dal domicilio legale, no?
“Mi senti, nonno? Ci sei? Siamo arrivate fino a qui, al tuo laboratorio segreto. Siamo state brave? Ce la meritiamo una pacca sulla spalla? Un buffetto, una dritta… volevi farci avere il progetto 16bis, e ce lo abbiamo. Forse bastava scriverlo in un testamento, ma a te le cose normali non sono mai piaciute, lo sappiamo. Ora però dicci cosa dobbiamo farne, di questo progetto 16bis. Dobbiamo darlo a qualcuno? Al tuo amico qui al piano di sopra? Dobbiamo incorniciarlo? Noi capiamo la tua fiducia, e te ne siamo grate, ma ricordi che la sottoscritta è tatuatrice e lei laureata in lettere classiche, vero? Noi non siamo in grado di costruire questo coso, se è questo che vuoi. E io personalmente – non parlo per Lisa, ci mancherebbe – vorrei tornarmene a casa dal mio gatto, ecco. Ora ci sediamo su questi sgabelli pericolanti, io sto zitta e tu, per cortesia, ci dai un segno, un indizio, un qualcosa. Grazie.”
Pam! La lampadina tremolante scoppia con un lampo biancastro e le due sorelle rimangono al buio. Poi, dal vecchio giradischi, una voce gracchiante.
“Notte, strada, lampione, farmacia,
luce torbida e insensata.
Vivi pure ancora un quarto di secolo —
sarà sempre così. Non c’è via di scampo.
Morirai — daccapo ricomincerai
e tutto si ripeterà come prima:
notte, il gelido incresparsi del canale,
strada, lampione, farmacia.”
E basta.
Gaia sbuffa. “Così non sei per niente d’aiuto!”
Lisa, a tentoni, raggiunge la porta e la spalanca, torna indietro, infila i fogli nella cartellina verde ed esce, con la sorella alle calcagna e il passo di chi, prima di pranzo, ha la pazienza per risolvere solo un limitato numero di misteri. Nel senso che camminano molto velocemente, tanto che quando arrivano in Piazza Fulvio De Salvo, Gaia non ha ancora avvertito quel brontolio allo stomaco che di solito le ricorda di aver saltato lo spuntino di metà mattina.
Lisa si affaccia sulla piazza, cercando un segno, un indizio, una rivelazione. La strada è dietro di loro, un lampione c’è, ma la farmacia? In giro non c’è nessuno a cui chiedere, a parte un gatto sul tetto di uno strano edificio piramidale.
“Ehi!”
Dalla piramide emerge una ragazza in camice bianco e occhialoni, srotolando cavi elettrici. Parla con qualcuno? Parla da sola? No, parla con il gatto!
“Mi scusi!”, la blocca Gaia.
La ragazza continua ad armeggiare con i cavi.
“Mi scusi, è una storia molto lunga da spiegare, ma dobbiamo capire cosa fare di un progetto segretissimo, e gli unici elementi che abbiamo sono questo quartiere e le parole STRADA, LAMPIONE e FARMACIA. Lei è della zona? Può aiutarci?”
La ragazza in camice si blocca, passa loro i cavi con cui stava armeggiando e bofonchia qualcosa sul fatto che sono in ritardo, o che lei non ha tempo da perdere, poi si volta verso la sommità della piramide e lancia una serie di ordini al gatto. Parla di energia, di piazza, di cuore…
“Mi scusi, forse c’è un errore. Forse mi sono spiegata male. Io e mia sorella abbiamo qui un progetto, era di nostro nonno. Per lui era importantissimo, ma noi non sappiamo interpretarlo. Lisa, mostralo a questa ragazza. Non sappiamo cos’è, ma sappiamo che qui è il posto giusto, se ci sono una strada, un lampione e una farmacia. Ora, le strade qui non mancano, il lampione è lì, ma la farmacia?”
La ragazza con il camice ci pensa su un attimo, poi urla al gatto se c’è una farmacia in zona. Il gatto risponde indicando con la punta della coda in direzione di Viale Borri.
“C’è pure la farmacia!”, Gaia è in preda all’eccitazione, finalmente delle risposte. “Lisa, falle vedere il progetto. Sento che è la persona giusta.”
La sorella apre la cartellina con circospezione e mostra i disegni alla ragazza con il camice.
La ragazza si toglie gli occhialoni, scruta le linee per qualche secondo e una parola le sfugge dalle labbra.
EUREKA.
“Finalmente! Mentre vi aspettavo ho terminato la costruzione di Tremplan e…Ehi, mi state ascoltando?”
Gaia è impaurita e stringe forte la mano di Lisa.
“Cos’è quel fumo che esce dalla Piramide?”
“Quello non è fumo, sono le idee che si fondono con l’immaginazione dando origine alla realtà! Vostro nonno non poteva scegliere posto migliore! Tremplan permette di viaggiare fisicamente nel mondo della fantasia! E a voi spetta il compito di accenderlo. Del resto avete creduto nella creatività dei lettori trasformandola in un racconto reale!”
Lisa e Gaia sono felici.
“Presto, non vediamo l’ora di goderci il viaggio!”

EPILOGO

Suonano alla porta. Gaia posa la tazza di caffè e va ad aprire, ormai dovrebbe essere lui. Ringrazia il fattorino e afferra la gabbia con due mani: Ginger ha affrontato un lungo viaggio in treno, dalla Gran Bretagna a Varese. Quando la ragazza apre lo sportello, il gatto salta fuori e miagola arrabbiatissimo, mezzo accecato dalla luce del mattino.
“Quanto mi sei mancato… eccoci a casa, ti piace?”
Il gatto si guarda intorno con sospetto.
“Questo non è un bilocale in affitto, questa è una casa vera, ed è tutta per noi. C’è la cucina, una vecchia coperta per i pisolini, uno studio e pure la soffitta. Basta che non tocchi l’altarino di Argo, quello è sacro. E abbiamo pure un fantasma!”
Una porta sbatte festosa al piano di sopra.
Gaia riprende la tazza di caffè abbandonata e si incammina pigramente verso il salotto, aspettando che Ginger si orienti e la segua.
Davanti alla poltrona è spalancato il baule della soffitta, l’inizio di tutto. Lei e Lisa hanno dovuto farsi aiutare da un paio di energumeni, ma alla fine sono riuscite a trascinarlo giù.
Gaia alza gli occhi. “No, la casa non la vendiamo più. Sto parlando con voi, sì, proprio voi che avete letto fino a qui. Mi sono trasferita nella casa del nonno. È stata una decisione presa in fretta e furia, ma per fortuna non avevo molte cose da farmi mandare. Anzi, nessuna, a parte Ginger. Ma lui non è una cosa, è il mio migliore amico. E adesso possiamo dedicarci a scoprire gli altri misteri di quel vecchio geniaccio…”
Un alito di vento scompiglia un mucchio di carte e le sparge sul pavimento.
“…appena arriva Lisa.”

FINE